Orecchia d’elefante sulla cassapanca e quell’impassibile bontà!

Capii, dalla palese espressione immota, stampata sul suo viso, che le mie parole non sfioravano nemmeno per un attimo, la sua attenzione; se ne stava chiuso nel suo impenetrabile atteggiamento d’insensibilità, senza proferir parola, appoggiato stancamente su quella cassapanca, come a voler dimostrare a tutti, e a se stesso, che era giunta l’ora di lasciarsi sopraffare da quel particolare sfinimento, e da quel procedere per inerzia, nella vita di tutti i giorni. Tutto attorno silenzio e pace, taceva pure lui, indifferente e rassegnato, chiuso in un oblio profondo. Sapeva di essere stato importante una volta, desiderato e amato, giacche comprendeva paziente, che l’inesorabile trascorrere della vita, l’avrebbe ridotto in quel modo. Era triste vederlo così, atroci rimorsi mi attanagliavano e dovetti, in cuor mio, far qualcosa per farlo uscire da quella intricata situazione.
Sabato mattina, in una mano tengo l’aspirapolvere, nell’altra lo straccio candido, che di lì a poco prenderà le sembianze di un ammasso informe di polvere. Lui fermo, che mi fissa, con la solita impassibile espressione e io inizio a parlargli: gli rammento i felici momenti passati insieme,
lo coinvolgo nei miei pensieri, gli chiedo consigli per l’imminente pranzo, cerco di scuoterlo da quel torpore ed ecco che miracolosamente un suggerimento arriva inaspettato. Il dolce peluche d’elefante, con gli occhietti vispi e la boccuccia sorridente, mi fa un cenno muovendo lievemente le grosse orecchie a penzoloni! Cucinerò l’orecchia d’elefante impannata, tenero ricordo di una fanciullezza troppo velocemente scivolata via, ma che ritorna nel sapore croccante e stuzzicante di questa pietanza senza età!

SUGGERIMENTO:
Non appiattite la fetta di tacchino con il batticarne, rischiereste di “rompere” le fibre della carne. Quando la passerete nel pangrattato che dovrà essere finissimo, schiacciatela bene con i polpastrelli e vedrete che si appiattirà benissimo e si allargherà sotto la pressione della vostre dita.


CURIOSITÀ
ci sono delle sostanziali differenze tra la cotoletta alla milanese e la così detta orecchia d’elefante, questi due piatti vengono confusi abitualmente, quasi usati come sinonimi, quando in realtà storia, origine, materia prima e tecnica sono diverse.

L’unica carne adatta per preparare l’originale cotoletta alla milanese è quella di vitello, più precisamente la costoletta. La vera milanese vuole rigorosamente l’osso. Il pan grattato non deve essere eccessivamente vecchio, dovrebbe essere composto per la maggior parte da mollica rafferma e non dovrebbe esserci un passaggio nella farina prima dell’uovo. La frittura vera e propria avviene senza olio d’oliva né olio di semi, il trucco qui è usare tanto burro chiarificato

L‘orecchia d’elefante è carne di maiale o di bovino o di tacchino, senza osso. La panatura viene effettuata infarinandola poi passandola nell’uovo e poi nel pangrattato e schiacciando la carne rendendola sottilissima. La frittura viene fatta nello strutto

STORIA:

Italia e Austria si contendono la nazionalità della cotoletta alla milanese, che in Austria trovate con il nome di Wiener Schnitzel che può essere di maiale, di vitello o di tacchino; tale disputa è tuttora irrisolta, perché  l’origine di tale piatto risale a fine 1800 quando parte della Lombardia era sotto il potere dell’impero austro-ungarico.
Note a margine di un rapporto, più leggendario forse che reale, del maresciallo Josef Radetzky riportavano di una cotoletta cucinata a Milano che prima era passata nell’uovo e poi fritta nel burro, e che a differenza della viennese era impanata.
Secondo alcuni storici, la prima indicazione della cotoletta nella cucina Milanese risale al piatto di “lombolos cum panitio” contenuto nell’elenco delle portate del pranzo dei canonici di Sant’Ambrogio durante le festività solenni nel secolo duodecimo
L’origine dell’orecchia di elefante si ricongiunge invece al periodo della guerra quando, per fare sembrare più grande il pezzo di carne, lo si appiattiva con un batticarne.

Ingredienti per una persona:
1 fetta di tacchino di circa 300 gr
pan grattato finissimo
1 uovo
un bicchiere di latte
1 cucchiaio di farina
50 gr di burro (o strutto)
due cucchiai di olio extra vergine
sale

Mettere la fetta di tacchino a bagno nel latte per circa 15 minuti. Scolarla e passarla leggermente nella farina, scuoterla molto bene e immergerla nell’uovo sbattuto da entrambi i lati. Ora su di un foglio di carta da forno, stendere uno strato di pangrattato e appoggiare la fetta di tacchino schiacciandola con i polpastrelli, girare la fetta dall’altro lato, recuperare il pangrattato nel foglio di carta, e premere con forza ancora finché la fetta di carne sarà sottile e larga. Scaldare in una grande padella il burro o lo strutto e l’olio, quando spumeggiano adagiare la fetta di carne e farla dorare molto bene da tutti e due i lati. Servire con un pizzico di sale, non serve asciugarla o tamponarla con carta. Accompagnate questa deliziosa carne con insalata verde oppure carote e piselli al burro. Per i più goduriosi patatine fritte!



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